A Taranto siamo arrivati al dunque: la
magistratura non ha più potuto ignorare i decenni di massacro del
territorio e di vite umane provocati dall'Ilva, a chiara
dimostrazione di come non dovrebbe essere gestito uno stabilimento
industriale. Lo studio epidemiologico non lascia spazio a dubbi
mentre gli operai scendono in piazza in difesa del loro posto di
lavoro. Adesso, per quelle famiglie, si prospetta un lungo periodo di
ulteriore miseria e dolore.
Impariamo da tutto ciò ed agiamo. Non
aspettiamo ancora, anche qui da noi, che si arrivi all'irreparabile e
cominciamo a realizzare le opere e le bonifiche necessarie
all'ambientalizzazione di Solvay. Pensiamo seriamente al futuro dei
“nostri” lavoratori - quelli attuali e, speriamo, quelli di
domani - insieme al bene del nostro territorio, perché siamo
consapevoli che la magistratura non possiede strumenti adatti a
realizzare quei cambiamenti radicali, oramai sempre più necessari ed
auspicabili.
In una delle più belle regioni
d'Italia, anni di criminale silenzio da parte delle istituzioni e
degli organi che dovevano tutelare l'ambiente e la salute dei
cittadini, non potevano che portare ad un risultato del genere: da
una parte gli operai che giustamente pretendono un lavoro sicuro e
dall'altra le esigenze imprescindibili della società tutta, che
chiede salute e un ambiente salubre.
Ma queste due esigenze sono cosi
contrapposte?
Sì, se ragioniamo in ottica neoliberista, capitalista
e neocoloniale...
Non sarebbe invece opportuno ripensare i cicli
produttivi e dismettere quelle produzioni altamente inquinanti che
stanno in piedi solo per la volontà di qualche multinazionale?
Taranto sta
proprio lì a dircelo: un'altra Ilva, non ce la possiamo permettere.
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